Hanno voluto censurare la nostra iniziativa sull'antifascismo. Lettera al sindaco di Potenza

Egr. sig. sindaco,
le scriviamo questa lettera per porla a conoscenza di uno spiacevole fatto accaduto venerdì sera in Piazza Duca della Verdura in occasione di una iniziativa politica da noi organizzata sull'antifascismo e sulla cocente questione giovanile. Problema, quest'ultimo, fondamentale che dovrebbe oggi interrogare non solo le diverse comunità politiche ma la società intera. Ed è compito comune provare a dare delle risposte.
Ebbene, ieri sera un tenente della polizia municipale ha fatto di tutto per mandare a monte un iniziativa di tale peso politico e morale. Dapprima chiedendo licenze e permessi non necessari ( dai diritti siae per la musica auto-prodotta a improbabili permessi ed autorizzazioni rilasciate dalla polizia ) suscitando un clima di tensione tra i molti ragazzi lì presenti. E, come spesso succede, appellandosi ad una formalità che da strumento di tutela diventa purtroppo arma di privazione, è stato trovato il cavillo: l'impianto da noi portato ( impianto è un modo di dire visto che erano due semplici casse per mettere musica) e l'impianto elettrico che il comune di Potenza, attraverso una richiesta di autorizzazione di suolo pubblico ci aveva già concesso, non erano idonei e sottoposti a collaudo.
Non vogliamo recriminare procedure burocratiche pesanti e forse anche finalizzate al fallimento di iniziative di informazione a costo zero, ma, poiché lei oltre ad essere il primo cittadino è un autorevole personaggio politico crediamo che sia il caso di riflettere sulla gravità politica che questo atto ha causato. Come ben sa la nostra Repubblica è nata proprio dallo slancio antifascista che un popolo intero (e non una singola parte come oggi qualcuno dice) ha determinato. Anche la Basilicata è stata una protagonista di questa lotta di liberazione, interi comuni ( matera e rionero ), personaggi autorevoli hanno pagato un prezzo salato per costruire una società libera dalle catene del ventennio fascista.
A più di sessantanni di quell'epilogo oggi assistiamo ad eventi sconcertanti in tutta Italia. Il terribile massacro del ragazzo a Verona, le spedizioni punitive fatte a Roma, aggressioni a comunità nomadi ed a migranti, atti di bullismo finalizzati all'umiliazione, una modalità quotidiana di relazioni violente e spesso feroci, devono imporre a chi cerca di migliorare la vita di una comunità un rigore di analisi ed una pratica politica seria e pedagogica.
Chi ci dice che l'individualismo sfrenato, che oggi è il pilastro di questa nostra società, non possa sfociare in un rigurgito intollerante anche in una città come la nostra?
È compito della politica cercare di ridisegnare una prospettiva, un'alternativa di vita fondata su un modo diverso di intendere lo stare insieme, il rapporto con l'altro da sé, l'idea di salvaguardare la collettività, la cura e l'amore con cui bisogna affrontare certi problemi che minano la vita delle giovani generazioni, il futuro della città che dobbiamo insieme costruire.
Ma spetta anche alla politica la tutela di quei lavoratori e di quelle lavoratrici che hanno il compito di monitorare e di garantire il rispetto della vita comune, la credibilità delle istituzioni.
Per questi motivi crediamo che iniziative come quella che abbiamo promosso venerdì hanno un valore importante, stare dentro le piaghe della società per cercare di modificare dal basso un senso comune che pare orientato verso una direzione altamente preoccupante. Ma bisogna evitare che si ripetano censure come quella che abbiamo subito.
Autorità non è sinonimo di autoritarismo.
Cosa hanno pensato quelle ragazze e quei ragazzi che si sono visti vietare un pacifico e costruttivo momento di riflessione e di festa? Non crede che il rapporto tra governanti e governati si sia irrigidito con un atto unilaterale da parte di chi, in quel momento, rappresentava le istituzioni? Bisogna lavorare da entrambe le parti se si vuol riottenere quel rapporto fiduciario che oggi spesso manca soprattutto tra i giovani. Questa, è forse la sfida più difficile che ci attende: far sì che la politica e di riflesso le istituzioni possano tornare ad essere considerati dalle nuove generazioni come strumenti necessari per la vita democratica, come luoghi da riempire con la partecipazione e l'impegno, e non fardelli corporativi, inutili gruppi di potere, “casta”.
Inoltre c'è un di più che non va trascurato.
La Basilicata è tra le prime regioni in Italia circa il consumo di droghe pesanti. Molte ragazzi e molti ragazzi non hanno strumenti per soddisfare la sete di cultura, di creatività, di svago. Anche in questa città mancano luoghi preposti a ciò. Mancano strutture di iniziativa libera, laboratori in cui il potenziale giovanile possa tradursi in pratiche per il miglioramento della comunità. Molto spesso i giovani vanno via dalla nostra città non solo per l'assenza di un lavoro stabile e gradito, ma anche per questa grave mancanza.
Se le individualità non si incontrano, parlano, solidarizzano sui problemi comuni, provano a dare risposte condivise a quell'analfabetismo emotivo così ben descritto nell'ultima opera di Umberto Galimberti, se non si divertono, si incontrano, si innamorano, se non vivono tutte le contraddizioni della vita, credo che la nostra città corra il rischio di pagare un prezzo molto alto. Una società che limita i propri giovani è una società destinata nell'immediato futuro a perire.
Ridefiniamo nuovi spazi pubblici di relazione, ripartiamo dalle piazze come luoghi di incontro e di socialità, proviamo discutere insieme sugli innumerevoli questioni che caratterizzano le nostre vite. Restiamo vivi tra i ragazzi di strada diceva un noto poeta, solo così ridaremo senso alla nostra azione politica.
Osservando il suo lavoro quotidiano ci rendiamo conto che anche lei sente questo problema come prioritario, per questo siamo convinti che su questo punto potremo trovare delle convergenze importanti.

Distinti saluti
Coordinamento dei giovani della Sinistra
(seguono firme)

Genova 2001: non strumentializziamo, per favore!!

Al Pd, a Veltroni: che i colpevoli non vestano più la divisa Dove eravate quando ci torturavano a Bolzaneto?
di Roberto Mapelli

Sono stato il primo a entrare a Bolzaneto. E mi è andata meglio di chi mi ha seguito. Genova, venerdì 20 luglio 2001, attorno alle 14 vengo fermato in via Alessi mentre la polizia carica lo spezzone inglese di Globalise Resistance. Ero sceso da Piazza Dante dove per Attac coordinavo le attività sulla piazza (palloncini per un'invasione aerea della zona rossa e protesta davanti alle reti). Ho visto due ragazze trascinate in malo modo da un gruppo di celerini. Mi sono messo in mezzo. Le ho prese anche io.

Mi hanno sbattuto su una camionetta con un giovane inglese con il naso fratturato, la testa aperta e un dente rotto. Era una maschera di sangue, non riusciva a respirare. Ci portano in Questura, in una stanza vuota a piano terra, siamo una decina, c'è uno svizzero, un paio d'italiani, degli inglesi e le due ragazze, una neozelandese e una tedesca. I quattro poliziotti che ci prendono in consegna - nessun graduato - le lasciano stare, ma vogliono che guardino mentre ci riempiono di botte. Calci, schiaffi, una testa pestata più volte contro il muro, in ginocchio e poi in piedi, ogni parole erano botte.


Ci fanno uscire, saliamo su una volante, ammanettati. Fa un caldo pazzesco. Harrison (l'inglese) sta sempre peggio, rantola. I finestrini sono chiusi, busso al plexiglass per chiedere di aprire o accendere l'aria condizionata. Mi risponde una poliziotta che non avrà avuto 25 anni: «Non voglio mica sentire la vostra puzza di merda». Resta tutto chiuso. Dopo 10 minuti di tangenziale ed autostrade deserte siamo a Bolzaneto. La macchina entra nel cortile ed è già aria di lager. Uno con la divisa verde, che in seguito saprò volesse dire polizia penitenziaria, insegue la volante a piedi gridando: «Quando scendi ti cambio la faccia, frocio di merda, comunista bastardo...». Scendiamo e veniamo accolti dal corridoio da galera: le divise, da una parte e dall'altra, con bastoni di legno (non manganelli, bastoni) alzati sopra di noi, sputi e calci. Ho fatto i tre gradini con la paura fino al midollo. E sono finito dritto in cella.
Era grande e man mano arrivavano gli altri. Una dozzina. Le ragazze altrove, le sentivamo. Una veniva trascinata per il corridoio e urlava in francese. Dalle sbarre un poliziotto ci diceva: «Avete ammazzato uno di noi, ma noi ve ne abbiamo ammazzati tre». E giù insulti. Eravamo terrorizzati. Il clima stava palesemente degenerando. Chiunque entrava era portato a calci e sberle, trascinato per terra. Urla di chi le prendeva e più forti di chi le dava. Mi sono foderato le orecchie.
Mi portano in una stanza per l'identificazione, trovo un paio di poliziotti che mi sembrano Digos, in borghese. Dico che tutto questo è illegale, è una pazzia. Uno mi dice di stare zitto. L'altro scuote la testa. Entra un Gom in divisa e mi riporta via, l'identificazione si fa in un'altra palazzina. Impronte digitali e della mano, foto. Vicino c'è la ragazza tedesca presa con me. Scioccata, non riusciva a rispondere alle domande in italiano - ovviamente. Sembrava paralizzata. Le dico di non preoccuparsi che saremo usciti vivi. Mi arriva un pugnone sulla testa, mi sono accasciato. L'unica donna poliziotto presente all'identificazione, in camice bianco, forse una tecnica, mi dice sottovoce che non lontano dalla caserma c'è un centro sociale a cui chiedere aiuto, una volta uscito.
Mi riportano in cella. Stava arrivando un sacco di gente. Nei corridoi menavano. Gente sempre messa peggio. Ci fanno stare in piedi, faccia al muro. Per ore. Ogni tanto ci sediamo, perché non ce la facciamo. Orecchio all'erta per rialzarsi in piedi. Altrimenti son altre botte. Mi chiamano per il rilascio, mi sottopongono una dichiarazione da sottoscrivere: ero senza documenti e venivo fermato per essere identificato... non ho subito alcuna violenza fisica durante il fermo. Era prestampata. Mi sono opposto. Mi rispondono che era mio diritto contestare la dichiarazione ma non sarei stato rilasciato. Ho firmato.
Sul portone chiedo come tornare in città, mi rispondono: «Prendi il primo treno e vai il più lontano possibile, ti conviene». Sono uscito per primo. Poco prima delle 20. Aspetto fuori la neozelandese e la tedesca. Erano senza parole. Stralunate. Piangevano. Volevano prendere il treno che le avevano consigliato. Davano un po' di matto. Le ho convinte e seguirmi. Ci siamo incamminati. Abbiamo trovato il centro sociale Immensa che prima non conoscevamo. Abbiamo saputo di Carlo. E poi ora dopo ora e nelle settimane successive abbiamo saputo che a quelli dopo di noi è andata molto peggio. Dentro e fuori. Nel corpo e nell'idelebile ferita della tortura.
Oggi. Dopo sette anni. Dopo il libro bianco, la controinformazione, i processi, posso dire che a me non frega niente che il bastardo che menava me, che spezzava altre dita, che strappava piercing, che minacciava stupri e così via, finisca in galera. Non è quello che voglio. Almeno io. Ma vorrei sapere, invece, perché fa ancora il suo mestiere. Perché è "forza dell'ordine".
Quegli uomini dello Stato italiano non devono più operare in nome della Costituzione. E' il minimo che si possa chiedere a quel che si chiama Stato di diritto (se c'è). Le condanne ci saranno, forse. I reati saranno prescritti, l'unica certezza. E la tortura non è un reato specifico nel nostro paese. Per carità, ratifichiamo al più presto la convenzione internazionale e facciomo una legge. Visto che ce n'è bisogno. Come ben venga la Commissione d'inchiesta abortita in questi anni grazie a chi oggi si scandalizza.
Ma dopo sette anni, a chi non c'era. A chi si è tirato indietro lasciandoci più soli. A chi non ha alzato voce ed ha aspettato mesi se non anni per scoprire quello che abbiamo vissuto e ora vuole anche parlare per tutti, a loro, al Pd, a Walter Veltroni dico di fare l'unico passo possibile: impegnatevi perché non possano più nuocere i nazisti che abbiamo incontrato a Bolzaneto, in Questura e per le strade di Genova. Noi li abbiamo incontrati. Abbiamo respirato il loro fiato. Godevano a umiliare e picchiare donne e uomini. Non lo pensavamo possibile. Ma l'abbiamo vissuto. Voi che non ci avete creduto per tutti questi anni. Adesso chiedete almeno che questi "uomini di Stato" non possano più commettere soprusi in suo nome, che vengano giudicati politicamente indegni della Costituzione. E con loro, i loro superiori. Perché ci fu chi picchiò. E chi ordinò. E pure chi si girò dall'altra parte. E' così difficile dirlo?






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La Quercia lasciò soli i manifestanti no global dopo la morte di Carlo. Lo annunciò Fassino in diretta tv a Porta a Porta
di Checchino Antonini

Dopo sette anni la scoperta degli orrori di Bolzaneto, da parte dell'aspirante premier Veltroni, è tutta interna alla logica del "ma anche". Calearo, sponsor della base Usa al Dal Molin, "ma anche" un'inchiesta su Bolzaneto, solo per fare un esempio. Sette anni dopo, non è facile nemmeno rievocarle quelle ore. Parla più volentieri chi non fu direttamente coinvolto nella decisione di defilarsi dalla manifestazione del sabato contro il G8 in corso a Genova. La maggior parte di dirigenti e militanti lo venne a sapere in diretta tv, da Porta a Porta, la sera del 20 luglio, a poche ore dall'omicidio di Carlo Giuliani.
Piero Fassino annunciò il ritiro dell'adesione deciso in una consultazione informale con D'Alema e pochi altri. La Quercia non aveva aderito alle piazze tematiche e alla giornata delle azioni del venerdì ma solo al corteo del 21. Fassino non era ancora segretario dei Ds: c'era una reggenza nazionale coordinata da Pietro Folena dopo le dimissioni di Veltroni appena eletto sindaco di Roma per la prima volta. Infatti la comunicazione ufficiale la dette proprio Folena, nella veste di coordinatore dell'ufficio di segreteria, del comitato dei reggenti. «In quel comitato ci fu uno scontro durissimo nei giorni precedenti», conferma Folena rintracciato dal cronista: «Nel pomeriggio eravamo in federazione, a Genova, e ci fu comunicato dalla tv, in una situazione estremamente confusa. E dovemmo subire. L'errore di non stare a Genova da parte di Ds e Cgil fu un tragico errore, perché ha scoperto la manifestazione e l'ha esposta molto di più. Questo il vero elemento di ferita morale tra me e il grosso del gruppo dirigente (Folena non aveva aderito al Correntone, ndr). Fu la goccia che fece traboccare il vaso e da allora cominciò il mio cammino comune con Rifondazione e le forze che oggi partecipano al soggetto unitario».
Anche Massimiliano Morettini ricorda l'annuncio della tv. Non che l'attuale assessore alle politiche giovanili del Comune di Genova fosse incollato al video: era allora uno dei portavoce del Gsf, il Genoa social forum, per conto dell'Arci ma la notizia gli fu riferita da chi aveva visto la puntata di Vespa. In seguito Morettini avrebbe monitorato la delusione di ampi settori di base del suo partito, i Ds, appunto, disorientati dalla decisione annunciata da Fassino. «I più lontani - ricorda - erano già in viaggio verso Genova».
«Che i ds abbiano deciso di partecipare alla manifestazione contro il G8 è positivo - scriveva poche ore prima sul Manifesto, Rossana Rossanda - in quel corpaccio semiparalizzato l'elettroencefalogramma non è ancora piatto, sono almeno in grado di sentire il clamore che da due mesi si è alzato su Genova, e assieme alla lotta dei metalmeccanici è la sola voce forte della società italiana dal Duemila. Per un partito che era dei lavoratori e oggi non rappresenta più di sedici italiani su cento, è un sussulto tardivo, ma non ovvio». E, più avanti, quasi profetica: «La protesta, che né i ds, né la Cgil hanno auspicato né suggerito, piomba come una patata bollente su due organismi mal messi e li costringe ad accelerare le scelte, scomponendo i tempi decisi dagli apparati».
«A vincere fu la percezione sbagliata di quel movimento - spiega a Liberazione, Nuccio Iovene, provenienza arcista, allora nei ds e oggi in corsa con la Sinistra l'Arcobaleno - con la scelta di non partecipare si scelse di lasciare soli e scoperti i ragazzi e favorire la provocazione che poi scattò. C'erano Fini e Ascierto, presenze improprie, nelle sale operative e finì tragicamente». Iovene era già a Genova insieme ad altri parlamentari dell'allora Correntone, la sinistra ds che si dissociò dalla dissociazione. La notizia della morte di Carlo lo colse mentre partecipava a una delle piazze tematiche, quella di Piazza Dante con Arci e Attac poi seppe i risultati della
consultazione informale ai vertici del Bottegone, la sede storica del Pci in via delle Botteghe Oscure, che si tenne nel tardo pomeriggio del 20 luglio 2001. «Ma fin dall'inizio era forte nella Quercia una logica di sospetto e una difficoltà nei confronti del movimento no global. C'era una divisione interna tra una parte infastidita e in difficoltà di rapporto coi movimenti, con un atteggiamento di spregio o di superiorità e un'altra parte che storicamente è sempre stata interna alla relazione stretta tra politica e movimento, anzi che riteneva che la legittimazione della politica prendesse corpo proprio dai movimenti. Quell'equilibrio precario si ruppe allora in nome della logica sicuritaria, del sospetto». Sette anni dopo, la presa di posizione di Veltroni sugli orrori di Bolzaneto,Iovene la legge nell'ottica del "ma anche veltroniano": «Meglio fare quella commissione di inchiesta che anche da dentro i ds abbiamo rivendicato per due legislature».
L'anno dopo, nel primo anniversario, la Quercia, o almeno qualcuno dentro i Ds provò a ricucire lo strappo con un convegno proprio con Folena e l'adesione alla manifestazione. Violante si affacciò in Piazza Alimonda e incassò una buona dose di fischi ma sembrò un riconoscimento del movimento. Cinque anni dopo fu ancora Violante a gelare tutti domandandosi a cosa servisse una commissione d'inchiesta. A lui era bastata la blanda indagine stabilita da Berlusconi

non esistono solo le elezioni...da repubblica.it

Mosè sotto l'effetto di droga sul Sinai
Quando ricevette i 10 Comandamenti. Lo sostiene uno psicologo israeliano

GERUSALEMME - Il profeta Mosè, secondo un ricercatore israeliano, si trovava sotto l'effetto di droghe quando sul Monte Sinai Dio gli consegnò i Dieci Comandamenti. Le sostanze attive che provocano illusioni sensoriali, quali gli allucinogeni, avrebbero avuto un ruolo importante durante i riti religiosi degli israeliti ai tempi della Bibbia, ha spiegato il ricercatore Benny Shannon nella rivista di filosofia «Time and Mind». Nel caso di Mosè, dice il professore di psicologia cognitiva all'università di Gerusalemme, non si è trattato di un «evento sovrannaturale». Ma non è neppure solo leggenda: «E' molto più probabile che la vicenda si sia svolta sotto l'effetto di qualche droga psichedelica», ha detto Shannon ieri alla radio israeliana. Mosè sarebbe stato alterato anche quando vide «il cespuglio di spine ardente», dove si manifestò l'angelo di Jahweh, appunto, sotto la forma di una fiamma di fuoco. Anche in questo caso all'origine delle «visioni» ci sarebbero stati delle sostanze narcotizzanti.
EFFETTI PSICOATTIVI - «La Bibba riporta che le persone udivano dei suoni, e questo è uno dei classici fenomeni col quale si manifestano certe droghe». Molti culti amazzonici utilizzano a scopi rituali l'ayahuasca, un intruglio vegetale, che combinato sintetizza la molecola in questione e provoca degli effetti psicoattivi. La sostanza è ancora usata frequentemente dagli sciamani o stregoni indigeni in Amazzonia. «Anch'io ho avuto delle visioni, che avevano significati religiosi e spirituali», ha detto lo scienziato che afferma di aver testato il miscuglio. Gli effetti psichedelici sono comparabili con la sostanza estratta dalla corteccia dell'albero di acacia. E quest'albero viene menzionato spesso nella Bibbia, dice in conclusione Shannon al Time and Mind Journal of Philosophy.
REAZIONI - La notizia è stata ripresa anche dal quotidiano israeliano Haaretz, scatenando una serie di reazioni polemiche. Ma la più frequente è stata: «Che cosa si è fumato Shannon prima si scrivere il suo articolo?». Il professore, del resto, avrebbe ammesso che «chiuque può assumere allucinogeni ma per ricevere le Tavole della Legge bisogna essere Mosè».

appuntamento (speriamo) importante


accorrete numerosi.

baci

N.

UNA CANZONE SPECIALE PER TUTTI VOI FAN, I LOVE YOU SOOOMUCH!!!KISS

Generale, dietro la collina ci sta la notte buia e assassina, e in mezzo al prato c'è una contadina, curva sul tramonto sembra una bambina, di cinquant'anni e di cinque figli, venuti al mondo come conigli, partiti al mondo come soldati e non ancora tornati. Generale, dietro la stazione lo vedi il treno che portava al sole, non fa più fermate neanche per pisciare, si va dritti a casa senza più pensare, che la guerra è bella anche se fa male, che torneremo ancora a cantare e a farci fare l'amore, l'amore delle infermiere. Generale, la guerra è finita, il nemico è scappato, è vinto, è battuto, dietro la collina non c'è più nessuno, solo aghi di pino e silenzio e funghi buoni da mangiare, buoni da seccare, da farci il sugo quando viene Natale, quando i bambini piangono e a dormire non ci vogliono andare. Generale, queste cinque stelle, queste cinque lacrime sulla mia pelle che senso hanno dentro al rumore di questo treno, che è mezzo vuoto e mezzo pieno e va veloce verso il ritorno, tra due minuti è quasi giorno, è quasi casa, è quasi amore.

povera patria

Povera patria.
Schiacciata dagli abusi del potere di gente infame, che non sa cos'è il pudore, si credono potenti e gli va bene quello che fanno; e tutto gli appartiene. Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni! Questo paese è devastato dal dolore... ma non vi danno un po' di dispiacere quei corpi in terra senza più calore? Non cambierà, non cambierà no cambierà, forse cambierà. Ma come scusare le iene negli stadi e quelle dei giornali? Nel fango affonda lo stivale dei maiali. Me ne vergogno un poco, e mi fa male vedere un uomo come un animale. Non cambierà, non cambierà si che cambierà, vedrai che cambierà. Voglio sperare che il mondo torni a quote più normali che possa contemplare il cielo e i fiori, che non si parli più di dittature se avremo ancora un po' da vivere... La primavera intanto tarda ad arrivare.

ritorno del sondaggio

ANALISI DEL VOTO


LA SINISTRA E L'ARCOBALENO...


Resitat ha deciso di sospendere lo sciopero e di fare l’analisi del voto a SUO PIACIMENTO.
Il sondaggio mostra volgarmente che NON GLIENE FOTTE A NESSUNO del simbolo o dei raduni o dei veltroni&berlusconi. Stiamo in una condizione di MERDA, dice Resistat, e che non è il caso di fare strategismi e politicismi. Qui, e dice PROPRIO QUI Resistat, si muore lavorando, qui la verdura costa il 30% in più, in questo belpaese degli inceneritori e delle discariche incontrollate, delle reti televisive illegali e dei pancioni, il FUTURO è molto probabilmente una Merda. Quindi, dice resistat, “GOVERNIAMO” e sarebbe il caso di FARLO. Dice Resistat.